25 aprile 2025: la Liberazione smarrita tra bandiere e divisioni

25 aprile 2025: la Liberazione smarrita tra bandiere e divisioni

L’80° anniversario della Liberazione, che cade in un momento storico di tensioni internazionali e divisioni interne, avrebbe dovuto rinsaldare nei cuori italiani il valore dell’unità e della pace. Invece, le piazze di Milano, Roma, Bergamo e Torino si sono trasformate in teatri di confronto non solo tra manifestanti e forze dell’ordine, ma anche tra fazioni ideologiche contrapposte, animate da motivazioni e bandiere apparentemente fuori contesto.

Il tradizionale corteo dell’ANPI a Milano ha visto slogan contro il massacro di civili a Gaza, suscitando reazioni dure nei confronti della Brigata Ebraica, mentre a Roma gruppi pro-Palestina sono arrivati a osteggiare simboli dell’Unione Europea e della NATO, persino tentando di issare la bandiera di Hamas sotto Porta San Paolo.

Secondo le stime dell’ANPI, in piazza Duomo a Milano si sono radunate oltre 90.000 persone, ma la giornata, dopo un avvio sobrio e senza incidenti gravi, ha lasciato spazio a momenti di alta tensione: cariche di alleggerimento da parte della polizia contro gruppi di manifestanti pro-Palestina, e contestazioni reciproche tra chi dichiarava di voler celebrare la Resistenza e chi, invece, esprimeva solidarietà alle popolazioni palestinesi.

Le piazze divise: bandiere di Israele, Palestina ed Europa

In molte città, la simbolica bandiera della Brigata Ebraica – storica formazione partigiana che combatté al fianco degli Alleati per la liberazione dell’Italia – è stata contestata con cori di “assassini” e insulti, ritenuta rappresentativa dell’attuale Stato di Israele e non dell’esperienza partigiana storica.

Parallelamente, gruppi pro-Palestina hanno sventolato bandiere nere e verdi con il tricolore palestinese, sottolineando l’urgenza di denunciare quello che definiscono “genocidio” a Gaza, ma fuori da un contesto di commemorazione nazionale della Resistenza.

Non sono mancate poi bandiere europee, soprattutto nello spezzone dei rifugiati ucraini, che sfilavano con drappi blu e gialli, intonando slogan come “Fascisti ieri, putiniani oggi” e “NATO will rise!”, in un tentativo di dare nuova vita ai valori di democrazia e solidarietà europea.

Questa eterogeneità di simboli e messaggi, se da un lato testimonia l’apertura di alcune realtà associative a temi globali, dall’altro mina l’unità della celebrazione, generando confusione rispetto al significato originale del 25 aprile.

La legittimità delle proteste per la Palestina nel contesto sbagliato

È indubbio che manifestare contro le violenze a Gaza sia un diritto sacrosanto e che la tragedia umanitaria in corso richieda attenzione e solidarietà internazionali. Tuttavia, utilizzare la piazza della Liberazione per promuovere un’agenda di politica estera rischia di svuotare di senso il ricordo di chi, ottant’anni fa, sacrificò la vita per sconfiggere il nazifascismo.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale dell’ANPI, ha espresso “inorridimento” per il massacro dei civili a Gaza, ma ha anche ricordato che “oggi qui celebriamo chi ha lottato per liberare l’Italia e ripristinare la democrazia”.

Uno dei nodi centrali è proprio la distinzione tra commemorazione storica e attualizzazione: se è doveroso mantenere viva la memoria delle ingiustizie contemporanee, il 25 aprile dovrebbe restare il momento in cui l’Italia onora la lotta partigiana e riflette sulle origini della Repubblica democratica. Invece, per molti manifestanti pro-Palestina questa piazza è stata percepita come un palcoscenico utile a ottenere visibilità, al punto da provocare risposte scomposte da parte di chi ritiene inaccettabile la strumentalizzazione della Liberazione per fini di mobilitazione politica esterna.

Scontri e fratture interne: manifestanti contro manifestanti e forze dell’ordine

I momenti di tensione più accesi si sono verificati a Bergamo, dove alcuni manifestanti con kefiah hanno tentato di forzare il passaggio accanto allo striscione della Brigata Ebraica, urlando “Fuori i sionisti dal corteo”: la polizia ha proceduto a identificazioni e cariche a difesa dell’ordine, isolando i facinorosi e allontanandoli con fumogeni.

A Milano, invece, la contestazione si è accesa in piazza San Babila, dove cori contro il governo di Israele si sono alternati a cartelli che rivendicavano l’eredità partigiana — “Resistenza all’odio” e “Resistenza all’antisemitismo” — in un confronto visivo e verbale che ha rischiato di degenerare in rissa.

A Roma, sotto Porta San Paolo, alcuni gruppi hanno approfittato della confusione per agitare bandiere della NATO e dell’UE, mentre a pochi metri bande pro-Palestina cercavano di issare vessilli di Hamas, prontamente bloccati dalle forze dell’ordine prima che la tensione sfociasse in scontri più gravi.

In tutte le città, anziché celebrare un momento di comune riflessione sul passato, si è assistito a contrapposizioni che hanno diviso comunità e famiglie partigiane, restituendo un’immagine di piazza conflittuale anziché di condivisione.

Riferimenti storici: nazifascismo e il Gran Mufti di Palestina

Quando si parla di nazifascismo, è importante ricordare come la geopolitica degli anni ’30 e ’40 non fosse manichea: anche in Medio Oriente si cercarono alleanze con i regimi totalitari. Amin al-Husseini, Gran Muftì di Gerusalemme, si avvicinò all’Asse con la promessa di sostenere una “rivoluzione araba” contro britannici e ebrei, ricevendo supporto logistico e informativo dall’Abwehr tedesca già dal 1936.

Il 28 novembre 1941, il Muftì incontrò Adolf Hitler a Berlino, confidando nel Führer di aiutare la causa araba in cambio di un’ampia rivolta in Medio Oriente. L’incontro, documentato sia da fonti naziste sia da cinegiornali di propaganda, testimonia il tentativo di inquadrare la questione palestinese nell’alveo della guerra globale contro gli Alleati, con la promessa di utilizzare le formazioni arabe per destabilizzare il Vicino Oriente.

Sebbene l’impatto sul genocidio ebraico sia stato marginale rispetto alle decisioni prese a Wannsee, il legame tra nazisti e Muftì rimane un capitolo oscuro che rende ancora più inappropriato il richiamo insistente ai presunti “parallelismi storici” tra la Resistenza italiana e le lotte contemporanee in Medio Oriente.

Memoria e unità smarrita

La giornata del 25 aprile 2025 dimostra che, se la memoria storica non viene custodita con rispetto e rigore, rischia di trasformarsi in strumento di divisione anziché di coesione.

Sia chi manifestava per la Palestina sia chi intendeva celebrare la Liberazione ha reagito con toni e simboli contrastanti, fino a generare scontri interni e ferite difficili da rimarginare. In un’Italia che ha costruito la sua democrazia sulle ceneri del nazifascismo, è fondamentale ritornare al significato profondo di Resistenza: un’esperienza di solidarietà, lotta contro ogni forma di oppressione e impegno per la pace.

Solo così potremo onorare davvero il sacrificio di chi ci ha preceduto, evitando che le bandiere — di qualsiasi colore e provenienza — cancellino i valori comuni che renderanno possibile un futuro di autentica liberazione.

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