Una poltrona per due torna in sala: polemiche fuori controllo su un classico natalizio

Una poltrona per due torna in sala: polemiche fuori controllo su un classico natalizio

Quest’anno Una poltrona per due tornerà sul grande schermo dal 9 all’11 dicembre in versione restaurata. Ed è proprio da questo semplice evento, di per sé perfettamente legittimo, che prendono il via le solite, sterili polemiche a cui ormai ci siamo tristemente abituati. Si tratta di un ritorno perfettamente innocuo: un classico degli anni ’80, da trent’anni un appuntamento fisso della programmazione televisiva della Vigilia di Natale, proposto in sala come operazione commerciale e nostalgica. Eppure, per alcuni commentatori, questa scelta diviene immediatamente un segnale inquietante, un’occasione per accusare il film di ogni peccato culturale, come se ci trovassimo di fronte ad una minaccia attuale e pericolosa.

Le presunte ostilità: bolla o realtà?

Viene da sorridere se si pensa alle parole di chi descrive Una poltrona per due come se fosse una sorta di portatore sano di polemiche, un focolaio contagioso che si riattiva ogni anno, alla stregua di un’influenza stagionale. Nel corso del tempo, questa commedia ha conquistato un posto speciale nel cuore del pubblico, diventando un rito laico del periodo natalizio, un oggetto di affezione collettiva. Se una simile tradizione infastidisce, si può facilmente evitare di guardare il film; non esiste alcun obbligo “vaccinale” contro Dan Aykroyd ed Eddie Murphy. Invece, la sua riproposizione in sala viene letta come un sacrilegio, quasi che il pubblico non avesse il diritto di godersi un cult in uno spazio diverso da quello del piccolo schermo.

Chiedersi “perché è inspiegabile riportalo al cinema” è quasi superfluo: da decenni le sale ripropongono classici, restauri, film di culto. È una mossa di mercato, certo, ma non c’è nulla di male nel voler riportare sul grande schermo opere che hanno segnato la storia del cinema popolare. Se esiste un pubblico disposto a pagare il biglietto per rivedere Il Signore degli Anelli o Ritorno al futuro, perché Una poltrona per due non dovrebbe godere dello stesso privilegio? Definire tale iniziativa “inspiegabile” rivela solo una difficoltà a comprendere la natura stessa dell’industria cinematografica e il legame affettivo che lega molte persone a determinati titoli.

L’accusa secondo cui il mondo sarebbe compatto nel condannare questo film è altresì una forzatura. In realtà, la sua popolarità è evidente: ogni anno registra ottimi ascolti televisivi, ed è amato da milioni di spettatori. Dov’è questa presunta, unanime ostilità? Spesso, le “polemiche” sono in realtà piccole fiammelle accese su social network confinate in nicchie digitali dove pochi utenti rumorosi vengono presi a riferimento come “voce del popolo”. Credere che queste minoranze vocali rappresentino una condanna universale del film è ingenuo, se non disonesto. Non tutti si stracciano le vesti davanti a un film dell’83 come se fosse un manuale di propaganda razzista o sessista da distribuire oggi.

Contestualizzare non è difficile

Altro appunto: molti hanno sostenuto il famoso “cappello introduttivo” che stanno usando diverse piattaforme dalla Disney a Netflix (ricordiamo il famoso caso di Via col vento). Mentre per alcuni classici animati del passato è bastato apporre un’avvertenza iniziale che contestualizzasse gli stereotipi del tempo, per Una poltrona per due qualcuno sostiene sarebbe più complicato.

In realtà, non c’è nulla di complicato, se non la volontà di chi critica di creare problemi dove non ce ne sono. Il pubblico, nel 2024, non è composto da bambini sprovveduti. Sa perfettamente che ciò che funziona oggi sul piano morale e sociale non era la norma quarant’anni fa. Non è necessario essere tenuti per mano con lezioni morali preventive: chi guarda può riconoscere da solo contesti, stili, stereotipi dell’epoca senza per questo abbracciarli.

Razzismo e stereotipi: mostrare non è approvare

Un altro punto su cui si insiste è l’idea che il film “giustifichi” il razzismo. Ma dove avviene questa giustificazione? La commedia di John Landis mostra due magnati bianchi e arroganti, la disparità economica, il classismo e il razzismo della New York degli anni ’80. Non è un inno a questi valori, al contrario li mette in scena per farne oggetto di satira. La presenza di termini offensivi o situazioni stereotipate non è un’apologia, bensì il ritratto di un mondo reale e decisamente imperfetto. Così come nessuno si scandalizza se un gangster in un film di mafia utilizza parole volgari o comportamenti violenti, perché è chiaro che è la rappresentazione di un criminale, non un modello da emulare.

Il paradosso della censura morale

Ancora più assurdo è il sillogismo per cui se un’opera mostra pregiudizi per denunciarli, finisce per confermarli. Questa logica impedirebbe qualsiasi rappresentazione complessa. Rimarrebbe un mondo cinematografico sterile, dove si possono mostrare solo personaggi irreprensibili, senza difetti, senza cattiveria, per evitare che qualcuno fraintenda. Sarebbe un impoverimento culturale enorme. L’evoluzione dei personaggi, come quella di Louis Winthorpe, che da snob viziato diventa consapevole dell’ingiustizia del mondo, è la prova del messaggio morale. Eppure, in molti sembrano dimenticare queste sfumature, lamentandosi prima che il film non condanni nulla, e poi ammettendo che il protagonista cambia in meglio. Un cortocircuito logico.

La figura femminile e il contesto storico

Vogliamo parlare di Jamie Lee Curtis? Il personaggio della sex worker che non doveva mostrarsi nuda perché era fuori contesto, in qualche articolo ho letto addirittura “una scelta immotivata” dimenticando che negli anni ’80 certe scelte erano comuni e il pubblico lo sa molto bene (vogliamo parlare di alcune moderne serie TV che vanno in onda su alcune piattaforme?)

È ovvio che oggi si potrebbero fare scelte differenti, ma non possiamo cassare ogni opera del passato perché non rispetta i nostri standard attuali. Il film è un prodotto del suo tempo, e può essere anche un’occasione per riflettere su come si sia evoluta la sensibilità verso la figura femminile nel cinema.

Il pubblico non è una massa di ingenui

Infine, si parla di una necessaria contestualizzazione continua, di avvertenze, di riflessioni obbligatorie ma il pubblico riflette già: le discussioni, i dibattiti, persino gli articoli critici, testimoniano che non viviamo in un mondo di spettatori passivi. Chi vede oggi Una poltrona per due può comprendere da sé che certe battute e situazioni sono figlie di un altro tempo. Non abbiamo bisogno di cartelli scolastici all’inizio del film, né di predicozzi morali alla fine. Insinuare che senza avvertenze la gente non colga il “messaggio” è un insulto all’intelligenza collettiva.

Guardare al passato con maturità, non con moralismi

In definitiva, questa polemica appare come un arrampicarsi sugli specchi, un voler dimostrare a tutti i costi che Una poltrona per due è un male da estirpare o da edulcorare, anziché riconoscerlo come un frammento di cultura pop, con i suoi limiti, le sue ingenuità e anche il suo potenziale satirico. Pretendere che un film di quarant’anni fa si conformi ai parametri ideologici del 2024 è un esercizio sterile. Il cinema è anche testimonianza del proprio tempo. Non tutto deve essere un “maestro” che ci indica con il dito ciò che è giusto o sbagliato. Gli spettatori non sono bambini a cui leggere la morale della favola: sanno capire, contestualizzare e, se necessario, sorridere dell’ingenuità di ieri senza credere che valga ancora come modello di oggi.

Un invito alla fiducia nello spettatore

Alla fine, il vero problema è la mancanza di fiducia nel pubblico, nell’intelligenza comune e nel potere del contesto. Queste accuse non fanno che sottolineare la rigidità e il paternalismo di chi le formula, come se senza il loro intervento il pubblico si trasformasse in una folla di emulatori di comportamenti inaccettabili. È un timore infondato e quasi offensivo. Forse, la vera lezione da imparare è un’altra: possiamo guardare Una poltrona per due, riflettere sui suoi stereotipi, comprendere quanto la società sia cambiata o meno, e farlo senza gridare allo scandalo o imporre rigidi protocolli morali. In altre parole, possiamo continuare a guardare vecchi film con occhi critici e maturi, senza rinunciare al piacere della visione e senza cedere alla tentazione di trasformare ogni proiezione in una lezione di civiltà.

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