Negli ultimi anni, termini come “patriarcato” sono entrati con sempre maggiore frequenza nel dibattito pubblico, spesso al di fuori dei contesti sociologici o storici che ne hanno forgiato il significato originario. Da strumento utile per analizzare squilibri di potere tra uomini e donne, la parola rischia di trasformarsi in un’etichetta da apporre ogni volta che un’interazione tra individui di sesso opposto non soddisfa determinate aspettative. Ciò non solo svilisce il valore stesso del termine, ma ostacola anche un dialogo sereno, costruttivo e realmente mirato a risolvere le vere questioni di disparità.
Ceccon e Pellegrini: un caso esemplare
Un esempio emblematico di questa tendenza è il recente caso delle dichiarazioni di Federica Pellegrini nei confronti del collega Thomas Ceccon. L’atleta, in un suo intervento, ha tirato in ballo il “patriarcato” come spiegazione per un presunto tentativo, da parte di Ceccon, di “sminuirla”. Eppure, rileggendo con attenzione le parole del campione olimpionico, non emerge alcun intento offensivo: Ceccon si è limitato a dire di ammirare la Pellegrini per la dedizione e l’impegno negli allenamenti, aggiungendo che non hanno mai avuto particolari rapporti umani o scambi personali. In queste dichiarazioni non si ravvisa alcuna dinamica di potere o discriminazione di genere. Non c’è disprezzo, non c’è svalutazione delle capacità della nuotatrice, ma soltanto la constatazione di una reciproca distanza personale.
Il rischio di abusare del termine “patriarcato”
Da tempo la parola patriarcato identifica un sistema culturale e sociale in cui gli uomini godono di privilegi e poteri rispetto alle donne. Un concetto complesso, radicato nella storia e nei rapporti di produzione, nelle strutture familiari, nel mondo del lavoro e nelle istituzioni. Sminuire il significato del patriarcato significa banalizzare le reali forme di discriminazione e diseguaglianza tuttora presenti nella società. Il pericolo è evidente: se si tira in ballo il patriarcato per qualsiasi sgarbo, giudizio non lusinghiero o semplice mancanza di simpatia personale, si corre il rischio di trasformarlo in una sorta di “buzzword” priva di peso.
Da strumento di analisi a slogan vuoto
Il patriarcato, come concetto, dovrebbe servire a individuare e smascherare strutture sociali, culturali ed economiche ingiuste, non a giustificare antipatie o mancanze di complimenti. La sua forza risiede nell’illuminare meccanismi complessi e profondamente radicati, non nel colpevolizzare a priori chiunque non si mostri entusiasta o accondiscendente. Usarlo come un jolly da calare in ogni contesto conflittuale, soprattutto se irrilevante, finisce per depotenziarne il valore. Le cause sociali e culturali che penalizzano le donne esistono davvero e sono serie: se il patriarcato diventa un insulto generico rivolto agli uomini, invece che uno strumento di critica alle reali disparità, si perde di vista l’obiettivo ultimo, ovvero la parità di genere.
Generalizzare non è la soluzione
Non ogni atteggiamento maschile, non ogni riserva nel dare complimenti o nel cercare un rapporto personale, deve essere letto come espressione di un sistema oppressivo. Le dinamiche interpersonali sono complesse: non esiste l’obbligo per due colleghi di andare d’accordo o di cercare reciproca simpatia. Attribuire al patriarcato situazioni che non hanno radici strutturali, ma solo sfumature personali, rischia di creare un clima teso e polemico, in cui gli uomini finiscono per sentirsi sotto accusa a prescindere, mentre le donne rischiano di sembrare ipersensibili e poco propense a distinguere tra reale discriminazione e banali divergenze di carattere.
Ritrovare il senso delle parole per un dialogo costruttivo
Se l’obiettivo è davvero quello di combattere le forme di discriminazione e disparità, è necessario ripristinare un uso rigoroso, critico e contestualizzato dei termini. Il patriarcato non va banalizzato, ma riconosciuto dove realmente esiste: nelle disparità salariali, nelle carriere ostacolate, nella scarsa presenza delle donne nei ruoli decisionali, nella violenza di genere, nei retaggi culturali che assegnano ruoli predefiniti a uomini e donne.
Una vicenda che può fungere da monito
La vicenda Pellegrini-Ceccon, per quanto marginale, può fungere da monito: lanciare accuse di patriarcato in assenza di reali dinamiche oppressive sminuisce la battaglia per la parità di genere e rischia di allontanare chi dovrebbe essere un alleato. Un dialogo maturo e consapevole richiede di non trasformare ogni interazione in una lotta simbolica. Occorre invece conservare la capacità di discernere tra reali ingiustizie e semplici differenze di vedute o carattere. Solo così potremo continuare a utilizzare il termine “patriarcato” con la forza e la precisione che meritano le sfide ancora aperte nella costruzione di una società più equa.