La frase «La famiglia è fondata sull’unione stabile tra uomo e donna» risuona da stamattina nell’Aula delle Benedizioni come un gong che segna la fine di una luna di miele durata appena cinque giorni tra Papa Leone XIV e la galassia liberal che l’aveva salutato come “l’anti-Trump con la talare”. Il primo pontefice statunitense – il cardinale di Chicago Robert F. Prevost – era stato presentato dai media liberal come un campione dei migranti, del welfare e di quel cattolicesimo “sociale” che molti esponenti di sinistra rimpiangono nelle loro parrocchie di periferia.
La dichiarazione di oggi: niente di nuovo… ma sembra nuovo
Di fatto, Leone XIV non ha innovato nulla: ha semplicemente riaffermato il Catechismo (n. 2333-2359) e il Codice di Diritto Canonico (can. 1055), che considerano matrimonio e sacramento inscindibili dall’alterità sessuale. La notizia, se c’è, sta nella ricezione pubblica: la stessa dottrina ribadita per decenni da Giovanni Paolo II o Benedetto XVI, quando pronunciata da un pontefice americano ritenuto “progressista”, suona come una retromarcia. È l’effetto della dissonanza cognitiva tra storyline mediatica e realtà magisteriale.
La bolla social: entusiasmo in salsa “Blue Wave” e la brusca frenata
Nei giorni scorsi gli account X (ex Twitter) più seguiti del mondo liberal avevano sommerso la timeline con meme del Pontefice che “zittisce i populisti”, complice la freddezza con cui figure vicine alla destra trumpiana – da Steve Bannon a Taylor Marshall – avevano accolto l’elezione del nuovo papa.
Stamattina, però, un’inversione di sentiment è stata istantanea: i principali influencer LGBTQ+, hanno parlato di “tradimento”, mentre su Instagram Stories sono ricomparse le storiche critiche al documento del 2012 in cui l’allora padre Prevost biasimava «lo stile di vita omosessuale» e le «famiglie alternative».
Le reazioni dell’universo LGBTQ+ cattolico
Organizzazioni come New Ways Ministry e DignityUSA speravano che il successore di Francesco sviluppasse la prassi delle benedizioni non liturgiche alle coppie dello stesso sesso, aperta a fine 2024 con il documento Fiducia supplicans. Oggi, in una nota, hanno parlato di «delusione, ma non sorpresa». Su The Advocate il teologo gesuita James Martin invita a distinguere tono pastorale e mutamento dottrinale: il primo può ammorbidire il linguaggio, il secondo richiede un atto di magistero solenne, che al momento nessuno intravede.
Perché il Papa non è un legislatore civile
L’equivoco nasce dal fatto che il Vaticano viene spesso letto con la lente statunitense del policy-making: se un politico cambia posizione, cambia la legge; se il Papa cambia tono, il dogma resta. Il magistero ordinario, per giunta, non può smentire quello precedente se definito «universale e costante». Pretendere che un pontefice riscriva i sacramenti su input dell’opinione pubblica equivale a chiedere alla Costituzione di abolire la separazione dei poteri con un tweet. La Chiesa – che piaccia o meno – si definisce «mater et magistra», non start-up con business plan trimestrale.
La tradizione come infrastruttura identitaria
Alla base c’è un’intuizione teologica antica: il cristianesimo si ritiene depositario di una verità rivelata, non elaboratore di contratti sociali negoziabili. Quando Leone XIV parla di famiglia “piccola ma genuina società, antecedente a ogni ordinamento civile”, richiama il linguaggio di Gaudium et Spes (1965) e di Familiaris Consortio (1981). L’alternativa, per la Chiesa, sarebbe diventare una denominazione “flavor of the week” che adatta la propria antropologia al trend del momento, perdendo ciò che la rende riconoscibile.
Laicità, il vero campo di battaglia
Se la società pluralista ritiene che unioni civili e matrimonio egualitario siano espressione di giustizia, l’arena appropriata è il Parlamento: la legge non deve attendere la benedizione dogmatica di Roma per garantire diritti patrimoniali, genitoriali o successori. Piuttosto, la politica deve imparare a tenere insieme libertà religiosa e tutela delle minoranze: permettere alla Chiesa di professare la sua dottrina senza discriminarne i destinatari sul piano civile. Il Canada, ad esempio, ha legalizzato le nozze gay nel 2005 senza imporre alla gerarchia cattolica di celebrazioni liturgiche; l’Italia ha introdotto le unioni civili nel 2016 senza ritocchi al Catechismo. La coesistenza è possibile – a patto di non confondere piani.
L’ombra dell’“effetto Francesco”
Il predecessore di Leone XIV aveva inaugurato un decennio di “parole prime” – Chi sono io per giudicare?, Il Signore ama tutti – che pur senza cambiare un comma del diritto canonico avevano creato un registro di misericordia percepito come rivoluzione. Oggi scopriamo che la rivoluzione semantica non basta a plasmare la dottrina. Forse, però, ha aperto uno spazio deliberativo nella sfera pubblica: molti cattolici praticanti sostengono il matrimonio egualitario pur sapendo che non potrà diventare sacramento; hanno imparato a convivere con questa dissonanza, chiedendo ai loro rappresentanti eletti – non al parroco – di tradurla in norme civili.
Un papa “social justice” ma non post-dottrinale
Leone XIV resta il pontefice che denuncia i muri sull’immigrazione, chiede ai G7 di cancellare il debito ai Paesi poveri e cita gli algoritmi opachi dell’IA come nuova frontiera di sfruttamento.
Non è un alleato automatico di Trump – lo hanno capito a Mar-a-Lago – ma non è neppure il portabandiera del progressismo culturale. La sua agenda sociale può incrociare la sinistra sui temi economici e la destra sui temi etici, rendendo la sua figura refrattaria a ogni etichetta partigiana. In un’epoca di polarizzazione, questa indipendenza può risultare spiazzante quanto salutare.
Chi deve fare un passo avanti?
Di fronte alla delusione di una parte della comunità LGBTQ+ e di una sinistra che sperava in aperture liturgiche, la domanda onesta è: stiamo insistendo sulla piattaforma sbagliata? Se la Chiesa cattolica è, per definizione, legata a una visione sacramentale binaria, forse la battaglia più efficace è quella per la piena equiparazione dei diritti nel codice civile, non nel codice canonico. In altre parole: più politica, meno teologia come surrogato di riforma sociale.
Un banco di prova di maturità democratica
L’episodio di oggi obbliga tutti gli attori – laici, credenti, attivisti, istituzioni – a fare i conti con il pluralismo. La Chiesa difende il proprio depositum fidei; la Repubblica tutela la libertà e l’uguaglianza dei cittadini; la persona di fede può vivere in un sistema che le consenta di aderire alla dottrina senza imporla agli altri. È il patto laico che tiene insieme società occidentali diverse per storia e sensibilità, dall’Argentina alla Germania.
Il mito infranto e la lezione possibile
L’aspettativa di un papa “progressista a 360°” era un costrutto mediatico più che un dato teologico. Quando il pontefice smonta la narrazione, non è lui a tradire: siamo noi che abbiamo proiettato troppo. Forse la vera apertura non è convincere la Chiesa a cambiare dogma, ma imparare a convivere con istituzioni che si collocano su assi valoriali differenti. Solo così potremo evitare, la prossima volta, di restare stupiti se un successore di Pietro conferma la dottrina cattolica sulla famiglia. Perché, in fondo, è esattamente ciò che un Papa è chiamato a fare.