L’ANPI e la memoria selettiva: il francobollo “scomodo” di una giovane vittima

L’ANPI e la memoria selettiva: il francobollo “scomodo” di una giovane vittima

La recente vicenda relativa al francobollo dedicato a una giovane ausiliaria, uccisa a soli sedici anni dai partigiani, ha riacceso antiche divisioni nel dibattito pubblico italiano. L’ANPI, storica associazione di ex partigiani e sostenitori della Resistenza, ha reagito con indignazione, definendo la commemorazione “sbagliata” o persino “oltraggiosa”.

Di fronte a questa presa di posizione, appare evidente come una parte del nostro Paese viva ancora prigioniera di categorie rigide, che distinguono tra morti “degni” e “indegni” di pietà. Questa vicenda, per quanto circoscritta, solleva questioni più ampie sulla capacità di maturazione della società italiana e sull’opportunità di rileggere il passato in modo inclusivo, senza ignorare o ridurre il vissuto di chi ha pagato con la propria vita.

Il contesto storico: la guerra civile in Italia

Per comprendere appieno la questione, è necessario ricordare che la fase finale della Seconda Guerra Mondiale in Italia fu, a tutti gli effetti, una guerra civile. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Italia si trovò spaccata tra il Regno del Sud, supportato dagli Alleati, e la Repubblica Sociale Italiana, nata sotto l’influenza tedesca. All’interno di questo conflitto intestino, i civili – donne, uomini e spesso ragazzi giovanissimi – furono trascinati in un vortice di propaganda, violenza e rese dei conti personali.

Nel caso dell’ausiliaria ricordata dal francobollo, c’è una verità fondamentale: era un’adolescente, vittima di circostanze storiche più grandi di lei. Eppure, l’ANPI reagisce come se ricordare la sua figura equivalga a riabilitare automaticamente l’ideologia fascista. Questa è un’equazione fuorviante, che non tiene conto della complessità delle singole storie personali e del contesto drammatico di quegli anni.

L’errore di una memoria “monocolore”

Un problema sempre più evidente è la tendenza a difendere una narrazione storica “monocolore”, dove i partigiani sono invariabilmente eroi e chiunque abbia militato dalla parte opposta è considerato un criminale o un complice della dittatura.

Senza negare che la Resistenza abbia rappresentato un momento essenziale per la liberazione dell’Italia, è altrettanto importante riconoscere che all’interno delle formazioni partigiane si verificarono azioni discutibili o addirittura crimini, spesso insabbiati per difendere l’unità della narrazione.

Continuare a ignorare queste ombre e bollare come “revisionismo” qualsiasi tentativo di portare alla luce episodi scomodi risulta anacronistico e controproducente. L’Italia, nel suo percorso di maturità storica, non può più permettersi di selezionare quali tragedie meritino memoria e quali vadano dimenticate.

Negare l’empatia a una sedicenne assassinata, a prescindere dal suo credo o dalla divisa che indossava, significa non avere il coraggio di riconoscere la complessità del passato e, soprattutto, di ammettere che l’errore – e persino l’orrore – è stato commesso anche da chi militava “dalla parte giusta”.

Anacronismo e riflessi sul presente

L’ostinazione con cui l’ANPI difende una sola lettura storica produce riflessi negativi sul presente. A distanza di oltre settant’anni dalla fine del conflitto, infatti, ci si aspetterebbe che la memoria condivisa fosse in grado di accogliere tutte le vittime, soprattutto quelle più giovani e indifese.

Non si tratta di “assolvere” il fascismo o di sminuire i valori della Resistenza, bensì di riconoscere che in guerra – specialmente in una guerra civile – i confini tra giusto e sbagliato possono confondersi, e che la brutalità non è appannaggio esclusivo di una singola parte.

Se l’obiettivo è quello di costruire un’identità nazionale coesa e pacificata, è paradossale che un’associazione nata per mantenere viva la memoria della Resistenza esprima posizioni che rischiano di frammentare ulteriormente il tessuto sociale, alimentando rivalità ideologiche d’altri tempi. In un’epoca in cui l’Italia affronta sfide comuni – economiche, sociali, culturali – riproporre steccati del passato non contribuisce certo alla solidarietà civile.

8 marzo e contraddizioni: quando la polemica ha un volto femminile

A rendere la vicenda ancor più simbolica è il fatto che la polemica sia stata sollevata – o quanto meno portata avanti – da una donna in prossimità della Giornata Internazionale della Donna.

Una ricorrenza dedicata ai diritti femminili, alla lotta contro ogni forma di discriminazione e violenza, avrebbe dovuto rappresentare un’occasione per riflettere su come molte donne siano state vittime silenziose della guerra e del fanatismo ideologico

Invece, si è scelta la via dello scontro frontale, alimentando la retorica del “noi contro loro”. Questo atteggiamento evidenzia come, anche in una giornata così simbolica, possano prevalere logiche faziose. Se davvero volessimo onorare le donne del passato e del presente, dovremmo soffermarci anche sulle storie di coloro che, come la ragazza ricordata dal francobollo, hanno conosciuto la violenza più devastante: quella che ne spezza la vita.

Riconoscere il dolore di tutte le donne, senza etichette politiche, sarebbe il primo passo per chiudere definitivamente i conti con un passato divisivo.

Memoria condivisa e pacificazione nazionale

Il bisogno di una memoria condivisa è un tema su cui storici e politici si confrontano da decenni. Il punto non è creare una storia “neutrale” (cosa impossibile), ma accettare che possano coesistere pluralità di letture, le quali includano ogni vittima e ogni responsabilità. Solo così l’Italia potrà dirsi davvero pacificata.

Un francobollo dedicato a una giovane vita spezzata non è uno strumento di propaganda, ma un tributo al valore umano di chi, in situazioni estreme, è morto prima ancora di poter capire appieno in quale gioco di potere si fosse ritrovato. Eppure, la condanna categorica dell’ANPI trasforma questo gesto di ricordo in un presunto atto di revisionismo.

In realtà, riconoscere la vittima non significa riabilitare alcun regime: significa, piuttosto, rendere onore a una persona la cui esistenza è stata interrotta dalla brutalità del conflitto.

Il coraggio di rivedere le certezze

Il caso del francobollo “scomodo” dovrebbe spingerci a una riflessione più ampia sulla storia e su come la raccontiamo alle nuove generazioni. Smettere di stilare graduatorie di vittime e martiri, ammettendo che la guerra civile italiana fu un capitolo in cui le azioni efferate non mancarono da nessuna parte, potrebbe rappresentare un tassello cruciale per un autentico percorso di riconciliazione.

L’ANPI, se vuole rimanere fedele alla sua missione di promuovere i valori di libertà e giustizia, farebbe bene a sviluppare una capacità inclusiva di riconoscimento del dolore di tutti. Continuare a difendere una narrazione monolitica sembra svelare più un timore di confronto col passato che un vero slancio verso il futuro.

In ultima analisi, la storia non dovrebbe essere un campo di battaglia per perpetuare divisioni, ma uno spazio di comune riflessione. Riconoscere la tragedia di ogni vittima – anche di quella sedicenne – significa porre le basi per una società più empatica e consapevole, in cui la memoria diventa ponte e non barriera.

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