C’è un tratto curioso e tutto italiano nella polemica che esplode a fasi alterne e solo quando conviene: un Comune del litorale laziale, amministrato dal centrodestra, da spazio ad una selezione di Miss Italia e all’improvviso orde di indignati riscoprono la parola magica, la più abusata e inflazionata del vocabolario progressista contemporaneo, la “mercificazione della donna”.
Apriti cielo, la sinistra più militante ha subito intravisto l’occasione per puntare il dito, accusare, urlare allo scandalo. Perché, si sa, quando il Comune non è della tua parte politica, la mercificazione è assicurata, certificata, timbrata e depositata all’anagrafe dell’indignazione.
Ora, la domanda sorge spontanea: se il prossimo 15 settembre qualcuno prenderà la macchina per recarsi a Porto San Giorgio, dove la patron di Miss Italia Patrizia Mirigliani porterà avanti la storica manifestazione, avranno il coraggio di manifestare anche lì? O la mercificazione è un concetto elastico, che vale solo nei confini della propria faida politica e si scioglie come neve al sole quando il bersaglio non è un’amministrazione avversaria?
Mercificazione o desiderio personale?
C’è una retorica che fa comodo a molti: dire che una ragazza che decide di sfilare a Miss Italia, o in un qualsiasi concorso di bellezza, è una vittima inconsapevole del patriarcato, una bambola manovrata dai poteri oscuri del maschilismo, un corpo esposto al giudizio altrui.
Quello che non si vuole mai ammettere è la possibilità che una ragazza, con piena coscienza e volontà, voglia davvero farlo. Perché sì, signore e signori, esistono donne che non aspirano a diventare attiviste politiche, che non sognano assemblee di movimento, ma che magari sognano le passerelle, il cinema, la televisione. E non c’è nulla di meno dignitoso in questo, anzi.
Se la logica fosse quella degli indignati a gettone, allora dovremmo prendere la macchina del tempo e cancellare intere carriere. Miss Italia non ha “mercificato” Lucia Bosè, non ha “svenduto” Gina Lollobrigida, non ha “umiliato” Sophia Loren. Al contrario, ha offerto una vetrina, un trampolino di lancio. E se i nomi storici non bastano, potremmo ricordare Martina Colombari, Miriam Leone, Francesca Chillemi. Donne che hanno costruito carriere rispettabili, artistiche, professionali, sfruttando quell’occasione iniziale che altri definirebbero “mercificazione”.
La verità è che chi urla oggi contro Miss Italia ignora o finge di ignorare che dietro ogni ragazza in gara c’è una scelta personale. Una scelta che può piacere o meno, ma resta scelta.
La politica travestita da morale
Il punto è semplice: la crociata non nasce per difendere la dignità femminile, quella è solo la copertina. Il libro, dentro, racconta un’altra storia: la guerra politica. L’amministrazione comunale è di centrodestra? Bene, ecco pronta la narrativa: “mercificazione della donna, medioevo culturale, sessismo da condannare”.
Ma se la stessa manifestazione fosse stata organizzata da un Comune a guida progressista, con tanto di patrocinio e conferenza stampa istituzionale, staremmo leggendo i soliti comunicati pieni di parole altisonanti come “inclusività”, “valorizzazione della bellezza come espressione culturale”, “opportunità per le giovani donne”.
E qui arriva il punto che smonta ogni teatrino: tra luglio e agosto, Comuni come Trevignano, Frascati, Roma e persino Anzio hanno ospitato selezioni di Miss Italia. Tutti amministrati dal centrosinistra.
Stranamente, in quei casi non si è gridato allo scandalo, non si sono scritti comunicati infuocati sulla mercificazione, nessuno ha parlato di medioevo culturale. Anzi, il tutto è passato in sordina, con tanto di sorrisi e pacche sulle spalle.
E allora viene spontaneo chiedersi: ma la mercificazione è una categoria dello spirito, oppure un’etichetta da appiccicare a piacimento quando conviene? Perché se Miss Italia “svende il corpo delle donne”, lo fa a Porto San Giorgio come a Frascati, a Trevignano come ad Anzio. Ma guarda caso, quando il Comune è di centrosinistra, la manifestazione diventa “valorizzazione della bellezza”, “tradizione culturale”, “momento di socialità”.
Il paradosso è lampante: non esiste un concorso buono e uno cattivo. Esiste solo l’uso politico di una narrativa. Miss Italia diventa mostro da abbattere quando il sindaco porta la fascia del colore sbagliato, e diventa improvvisamente evento culturale quando governa chi ti è amico.
La dignità delle scelte individuali
Chi parla di mercificazione dovrebbe fermarsi un attimo e chiedersi: davvero crediamo che una ragazza di 18, 20 o 25 anni, nel 2025, non sia in grado di decidere da sola se partecipare o meno a un concorso? Davvero pensiamo che sia manipolata come una marionetta, incapace di distinguere tra un’opportunità e una trappola?
È questo il paternalismo più insopportabile: trattare le donne come incapaci di autodeterminarsi. È un paradosso clamoroso: mentre si sbandiera l’uguaglianza e l’emancipazione, si finisce per negare alle stesse ragazze la possibilità di scegliere cosa fare del proprio corpo e del proprio futuro. Qualcuno ha scritto “nello stesso giorno della sfilata c’era una manifestazione pacifica a per la solidarietà alla Palestina”. Ma che paragone è?
E se la scelta è quella di mettersi in gioco davanti a una giuria, di affrontare un palco, di reggere la pressione di un concorso nazionale, dov’è lo scandalo? Non è forse anche questo un esercizio di coraggio e disciplina?
Una questione di coerenza
La coerenza è merce rara, se davvero si vuole combattere la mercificazione, allora si dovrebbe avere il coraggio di farlo ovunque, non solo quando conviene contro il nemico politico di turno.
Si dovrebbe scendere in piazza contro le pubblicità che riducono il corpo femminile a oggetto, si dovrebbe protestare davanti ai social network che lucrano miliardi grazie alle foto ammiccanti di ragazzine quindicenni seguite da eserciti di adulti, si dovrebbe puntare il dito contro i reality che ogni anno mettono in vetrina concorrenti in costume, spremuti fino all’ultima lacrima per lo share.
Ma tutto questo richiede coerenza. Ed è molto più facile scegliere il bersaglio politico, confezionare il comunicato stampa indignato e scaldare i like dei propri elettori.
La mercificazione delle idee
La mercificazione della donna è un problema serio, esiste e nessuno lo nega, ma proprio perché esiste, non può essere ridotto a strumento di propaganda spicciola. Non può essere tirato fuori dal cilindro solo quando serve a colpire un’amministrazione di centrodestra (in questo caso), perché così facendo non si difendono le donne, si usano.
E usare le donne per fare battaglia politica è, ironia della sorte, la forma più subdola di mercificazione.
Chi si scandalizza per Miss Italia farebbe meglio a guardarsi allo specchio e chiedersi: “Sto davvero difendendo le donne, o sto solo sfruttando il loro corpo come pretesto per la mia guerra ideologica?”
La risposta, temo, è già scritta.