L’esclusione di Tony Effe dal concerto di Capodanno a Roma non è solo una scelta organizzativa, ma un vero e proprio atto di censura. Impedire a un artista, apprezzato da un vasto pubblico giovanile, di esibirsi su un palco pubblico significa mettere a tacere una voce, piuttosto che entrare nel merito del suo messaggio. È una mossa che ricorda tristemente altri tempi, quando il tentativo di silenziare un’espressione artistica era lo strumento principale per evitare il confronto.
La politica del “cancellare” anziché discutere
Preoccupa la posizione assunta da parte di alcuni esponenti politici che sembrano preferire la strada della cancellazione a quella del dialogo. Alcuni di loro sostengono persino che sia “ora che il rap cambi modo di comunicare”, una posizione facile da prendere quando non si conosce realmente il mondo del rap. Chiedere di non far salire sul palco un rapper significa evitare un dibattito necessario, significa non voler affrontare un fenomeno culturale amato da milioni di ragazzi. Questo approccio suggerisce l’adozione di una “cancel culture” di comodo, un modo per lavarsi le mani di questioni scomode senza approfondirle.
La solidarietà degli artisti e le contraddizioni politiche
Non è un caso che, di fronte a questa censura, artisti come Mahmood e Mara Sattei abbiano deciso di dare forfait in segno di solidarietà al rapper romano. La cosa interessante è che la censura a Tony Effe (perché di questo si tratta) arriva da quegli stessi politici che dichiarano di essere “sconvolti” dai suoi testi e che poi, probabilmente, fino all’altro ieri hanno messo “a palla” brani come “Sesso e Samba”. La contraddizione è lampante: si condanna in pubblico ciò che si apprezza (o almeno si tollera) nel privato.
I gusti musicali delle nuove generazioni
I giovani, specialmente i giovanissimi, non vivono la musica con l’occhio moralistico degli adulti. Amanti della trap e della musica rap, partecipano attivamente alla creazione di un immaginario contemporaneo: cantano a squarciagola i testi dei loro artisti preferiti, li reinterpretano sui social con balletti su TikTok, li condividono su Instagram e ne parlano su Telegram. Per loro, quei testi non sono “offese” da censurare, bensì emozioni da vivere. La generazione Z non ha bisogno di “protezione” da una presunta volgarità: sa scegliere, sa sintonizzarsi con ciò che più sente vicino, comprese parole e storie lontane dalla retorica istituzionale.
Oltre le accuse di sessismo: un confronto necessario
I testi di alcuni artisti possono risultare duri, talvolta volgari, e la questione del sessismo nella cultura contemporanea è reale e merita attenzione. Ma pensare che eliminando un artista si risolva il problema è illusorio. Il sessismo non si cancella con un no, ma si supera discutendo, mettendo a confronto le diverse visioni, coinvolgendo attivamente donne, uomini, educatori, artisti e critici. Privare il pubblico di una voce non cambierà il modo di pensare, ascoltare o vivere la musica. Al contrario, farà apparire quell’artista come un ribelle da idolatrare e trasformerà il suo silenzio in un boomerang per chi ha voluto imporlo.
La debolezza di una politica che rifiuta il dialogo
Quando la politica preferisce il silenzio al dibattito, mostra la sua debolezza. Con tutta la complessità che attraversa la società, immaginare di “risolvere” un fenomeno culturale ignorandolo è pura miopia. La censura, infatti, non solo non istruisce, ma allontana i giovani dalle istituzioni, facendo percepire l’establishment come incapace di capire e rappresentare i nuovi linguaggi, i nuovi bisogni, le nuove passioni.
Musica e libertà: imparare a convivere con il disagio
La musica è cambiata, le generazioni sono cambiate e i nuovi linguaggi musicali si affermano con o senza il permesso della politica. Il ruolo delle istituzioni non dovrebbe essere quello di un censore, ma di un mediatore culturale, capace di cogliere l’occasione per aprire un dibattito, per far riflettere, per proporre nuovi codici e modi di espressione. Eliminare un artista non farà altro che alzare barriere: tra generazioni, tra gusti culturali diversi, tra la politica e i cittadini che dovrebbe rappresentare.
Cancellare non educa, discutere sì
Non far cantare Tony Effe non è solo un errore culturale, è una conferma dell’incapacità di una certa politica di confrontarsi con ciò che non le piace. Quando si preferisce cancellare, si ammette la propria insufficienza nel capire e nel dialogare. Il risultato è una deriva illiberale, agli antipodi della libertà di espressione tanto declamata in altri contesti. La musica, come ogni forma d’arte, merita confronto, analisi, dibattito, non silenzi imposti. E i giovani, quelli che ogni giorno scelgono la colonna sonora della loro vita, se ne accorgono perfettamente.