La crisi che sta consumando Gaza non è più soltanto una questione di guerra o politica internazionale, ma sta assumendo connotati ben più gravi e inquietanti. I numeri parlano chiaro: migliaia di morti civili palestinesi, interi quartieri rasi al suolo, ospedali e scuole colpite senza pietà. Di fronte a questa carneficina, la comunità internazionale balbetta frasi di circostanza, evitando accuratamente il termine più appropriato per definire ciò che sta accadendo: genocidio.
Eppure, una parola così carica di significato e responsabilità storiche non può più essere evitata. Il genocidio, infatti, non si misura soltanto nella volontà esplicita di eliminare fisicamente un gruppo etnico, ma si realizza pienamente quando si riduce drasticamente il diritto di un popolo all’esistenza, soffocandolo lentamente con violenza sistematica. È precisamente ciò che sta avvenendo oggi nella Striscia di Gaza.
Hamas, l’eterno alibi di Israele
Israele giustifica i suoi attacchi continui alla Striscia con la presenza di Hamas, classificato da Tel Aviv e gran parte dell’Occidente come un gruppo terroristico. Hamas diventa così la perfetta giustificazione morale, il pretesto politico sempre valido. Ma questa narrativa nasconde una realtà ben più profonda: Israele ha sempre colpito e aggredito la Palestina, ben prima della nascita stessa di Hamas. Lo ha fatto contro l’OLP di Yasser Arafat, lo ha fatto prima ancora contro ogni altra formazione palestinese che osasse opporsi all’occupazione.
Questa strategia mira chiaramente non solo a neutralizzare un presunto nemico, ma ad annientare ogni possibilità reale per i palestinesi di costruire una società autonoma e dignitosa. Hamas è dunque un alibi, funzionale per giustificare attacchi che in realtà mirano a piegare un intero popolo.
Il diversivo strategico: la guerra all’Iran
Di fronte all’indignazione crescente dell’opinione pubblica internazionale, la strategia israeliana aveva bisogno di un diversivo, di una crisi parallela che potesse distogliere l’attenzione dal genocidio silenzioso in atto a Gaza. Quale bersaglio migliore, se non l’Iran? Un paese già profondamente screditato agli occhi occidentali per le sue politiche interne oppressive nei confronti delle donne, delle minoranze e della comunità LGBT.
Da giorni, ormai, la narrativa dei media globali è cambiata drasticamente, concentrata unicamente sulla minaccia nucleare iraniana. Israele ha colpito duramente presunti siti strategici iraniani, giustificando l’azione come necessaria per evitare che Teheran arrivasse alla costruzione della bomba atomica. È difficile non vedere in questa escalation una cortina fumogena perfettamente orchestrata, studiata per distogliere l’attenzione dal vero dramma umano che continua a consumarsi a Gaza.
Un conflitto che espone a rischio l’Occidente intero
Israele, nella sua scelta strategica, ha mostrato un cinismo spietato, ignorando completamente le conseguenze che una tale aggressione all’Iran avrebbe comportato per l’intera comunità internazionale. L’Iran, infatti, ha già dichiarato esplicitamente che risponderà non soltanto verso Israele, ma anche contro quei paesi occidentali che sostengono le sue azioni. La sicurezza nazionale e internazionale di decine di paesi è stata messa a repentaglio senza esitazioni, pur di preservare l’interesse geopolitico di Tel Aviv.
Così facendo, Israele ha di fatto esteso una crisi regionale potenzialmente devastante, trascinando l’intero Occidente in una spirale di tensione che rischia di trasformarsi rapidamente in un conflitto globale incontrollabile.
Il silenzio dell’Occidente e il doppio standard internazionale
Di fronte a questa palese violazione del diritto internazionale, la posizione dei governi occidentali risulta sempre più sconcertante e contraddittoria. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, l’Occidente si è mobilitato in modo unanime e deciso, applicando sanzioni senza precedenti, escludendo gli atleti dalle competizioni sportive e isolando diplomaticamente Mosca.
Eppure, oggi, di fronte ad azioni israeliane altrettanto gravi e devastanti verso Gaza, l’Occidente sembra incapace di assumere una posizione coerente. Nessuna reale sanzione, nessun vero isolamento diplomatico, nessuna esclusione dalle competizioni internazionali: Israele continua a godere di un’immunità ingiustificata, che indebolisce tragicamente il principio stesso della giustizia internazionale.
La democrazia apparente di Israele
Israele ama presentarsi come “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Tuttavia, la democrazia non si misura soltanto con libere elezioni interne, ma soprattutto con il rispetto dei diritti umani universali e delle norme internazionali. Da questo punto di vista, le azioni di Tel Aviv negli ultimi anni hanno dimostrato un allontanamento radicale dai principi democratici.
Un paese che bombarda civili innocenti, occupa territori con la forza militare e impone un regime di apartheid nei territori palestinesi, non può più seriamente definirsi democratico. È ora che l’Occidente smetta di alimentare questa falsa narrativa e affronti la dura realtà di uno stato che sta minando le fondamenta stesse della democrazia e del diritto internazionale.
Una critica alla società israeliana: il silenzio che diventa complicità
È fondamentale chiarire un aspetto cruciale: la critica politica qui non è rivolta al popolo ebraico, né all’ebraismo come religione e cultura. È piuttosto una denuncia delle decisioni e delle strategie adottate dai leader politici israeliani, responsabili di azioni che calpestano ogni principio etico e umanitario. Tuttavia, emerge inevitabilmente anche una riflessione critica verso la società israeliana stessa, che non sta prendendo una posizione netta contro la deriva violenta del proprio governo.
Non bastano infatti poche voci isolate che denunciano la situazione: serve una presa di posizione forte, netta e collettiva della popolazione israeliana. Il silenzio, infatti, diventa complicità, rendendo ogni cittadino corresponsabile di ciò che accade. Come la storia insegna, la passività e l’indifferenza della società civile facilitano sempre gli orrori più gravi.
La responsabilità morale dell’Occidente e la necessità di cambiare rotta
Oggi più che mai, l’Occidente deve ritrovare il coraggio della coerenza. Non può continuare a chiudere gli occhi davanti alle atrocità commesse da Israele per convenienza politica o timore diplomatico. Servono misure concrete e incisive, analoghe a quelle adottate in altri casi di violazione del diritto internazionale.
Continuare a tacere significa non solo essere complici, ma distruggere il valore stesso della giustizia e della legalità che si pretende di difendere. È urgente che governi, istituzioni e soprattutto la società civile prendano atto della realtà e agiscano di conseguenza, ponendo fine al genocidio silenzioso in corso a Gaza e spezzando finalmente il perverso meccanismo di ipocrisia e ingiustizia che circonda questa crisi devastante.